(1980-1985)
Agli inizi degli anni ottanta vivevo stabilmente a Bologna e la macchina fotografica era da poco diventata una compagna abituale. Utilizzavo pellicole in bianco e nero e scattavo centinaia d’immagini. Avevo come progetto utopico la mappatura completa della città che mi aveva accolto con la sua pacata amabilità. Fotografavo qualsiasi superficie verticale e orizzontale, lucida e opaca: muri, porte, finestre, vetrine, selciati, automobili. Allora non sapevo che gran parte di quelle immagini, in realtà quasi tutte, le avrei definitivamente perse in uno di quegli spietati incidenti che ogni tanto capitano ai fotografi. Il caso ha salvato solo un paio di rullini in cui ho ritrovato alcune foto di quegli anni. Immagini dedicate a quell’irresistibile richiamo visivo che sono le ombre sotto i portici di Bologna. Contrasti decisi di luci ed ombre da cui continuamente si entra e si esce. Geometrie mutevoli che si combinano in un gioco infinito con i corpi dei passanti che a loro volta proiettano altre ombre insieme alla mia. Ritratti della città e della sua vita che scorre quotidiana, lenta e veloce per decine di chilometri lungo spazi ibridi di un’identità urbana mai risolta che allo stesso tempo è percepita come interno ed esterno.